#forioinfiore2017 Ischia e le sue meraviglie.
Due giorni con il piacere di ritrovare tanti cari amici e scoprire i meravigliosi colori latini di Forio.
Grazie a chi ci ha accolto, ospitato e accompagnato
Vicoli Saraceni Forio
Alilauro Volaviamare
Cilindro Viaggi Tour Operator Italia & Europa
Ristorante Zi Carmela
Pensione Villa Mafalda
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Siamo alla seconda puntata di #insolitaitaliatour
Questa volta, dopo il successo del primo Tour in città dedicato alla cultura popolare e all’arte di strada,cambiamo tema.Abbiamo puntanto tutte le nostre attenzioni sulla Napoli leggendaria, quella dei Castelli con le stanze segrete, quella delle trame d’alto borgo, e dei suoi figli illustri. Ma anche quella delle leggende popolari, con le catastrofi compiute e minacciate, dei coccodrilli e delle Uova dai poteri magici.Il risultato anche questa volta è stato per i nostri ospiti una meravigliosa scoperta:
Abbiamo visitato i castelli più importanti, da Sant’Elmo sulla collina Vomerse, al centro del Maschio Angioino, passando per gli scogli di Castel dell’Ovo.Siamo stati ospiti dell’Osservatorio Astronimico, dove ci hanno parlato di Giordano Bruno e mostrato tutte le stelle che avevano.Ci hanno accolti a Capodimonte in uno tra i musei più belli al mondo dove, tra le straordinarie opere, ci hanno prenstato Caravaggio.Abbiamo seguito poi le orme dello stesso mitologico artista, alla scoperta dei suoi posti,a sedile di porto abbiamo mangiato alla stessa sua tavola,qualla che lo ha quasi visto morire.Siamo saliti a Posillipo per la Leggenda di Donn’Anna.Abbiamo toccato con mano, nel cuore del Rione Sanità, la devozione di questo popolo per le anime delle Capuzzelle ed il suo Santo Patrono.
E stato un tuor ricco, affascinante, per certi versi sorprendente.Una fullimertion nella storia di una delle Capitlai più vecchie del Mondo antico, che nonostante tutto riesce sempre nell’impresa di stupire chiunque le posi gli occhi addosso.
Giuseppe Di Vaio
Esistono sempre due storie:la storia di chi vince,e quella di chi perde.
Gli Inglesi una bella passeggiata la chiamano tour. Questi eleganti signori Nord Europei hanno la capacità di racchiudere spesso molte cose in un unica parola,rendendoci talvolta la vita un po’ più semplice.Che poi è un fatto che la nostra attuale società sta assorbendo sempre più velocemente molte di queste parole,dai Drink agli Shorts passando dal più classico dei Wow!?! Una contaminazione Shakespeareana che colpisce ormai gran parte della sfera su cui viviamo.
In realtà, con mio grande sollievo, a casa mia si parla ancora ampiamente il napoletano,con tutta la grazia e la brutalità che questa lingua ha saputo nei secoli trasmettere e regalare,nonostante il boicottamento generale. E a proposito di Tour in questi giorni ho avuto il piacere di guidarne uno nella mia città, ” ‘nu ‘gir ” se così si può ancora dire.
Un gruppo di curiosi “furastieri” messi insieme dal mio amico Andrea di #insolitaitalia ,viaggiatore Aretino che ho conosciuto in Toscana a Natale dello scorso anno.
Con estremo piacere ho provato ad introdurre cinque personalità molto diverse tra loro (per carattere e luogo di appartenenza) nei meandri di un posto dalla storia millenaria, fondato su solide fondamenta Greche e ricoperto da vari strati multietnici e multiculturali, configuratosi in non meno di una quindicina di secoli.
Dagli Egizi, ai Turchi, dai Francesi agli Spagnoli, con gli Inglesi e finanche gli Americani.Tutti insieme appassionatamente, da un certo punto delle loro storie, Napoletani.
Ci ho tenuto a far sapere ai miei insoliti ospiti che oggi ( per ragioni che qui non posso affrontare ) non si conosce gran parte della storia di questa città,e che il Mondo si è forse fermato ad una valutazione veloce e fin troppo superficiale.
Nella piazza dei grandi eventi, ad esempio, facevo notare che quel luogo si era in principio chiamato Largo di Palazzo fino al momento in cui un prepotente ed autocelebrativo conquistatore (uno dei tanti), con le strade ancora sporche di sangue, entrava trionfante in città e, da non invitato senza nulla chiedere, decideva di chiamarla come secondo lui fosse giusto; Piazza del Plebiscito! E si perché come dicevo a Daniele, viaggiatore Romano attento e discreto, ho capito sulla mia pelle che esistono sempre due storie: la storia di chi vince e quella di chi perde.Napoli è una storia a parte,la storia di chi sa ascoltare.
Quella di Salvatore, che ai quartieri Spagnoli con i suoi pennelli sta colorando le strade per cambiare, quella della zia Esterina che so sessantanni che a Forcella vende la frutta anche se oggi ha smesso di strillare, quella di Ciro che a vent’anni da Via Arena porta la piazza dall’altra parte del mare.La storia dei giovani del Rione Sanità che con i fatti rianimano la città, la storia di Vincenzo che a Scampia sono anni che per i suoi bambini strappa ore alla strada.La storia di James che oltre i stettantanni questa città proprio non sa smettere di volerla cantare.Napoli è la storia mia,di chi cercava un letto per sognare.La storia di Marco,di Antonio,di Laetitia,di Daniele,di Andrea e di Tiziana, di chi sa spesso poco o nulla prima di arrivare e che, come sempre, dopo aver ascoltato le sue vene pulsare non vede l’ora di tornare.
Giuseppe Di Vaio
“Everything dies baby that’s a fact, but maybe everything that dies someday comes back”
Bruce Springsteen.
In realtà gli Stati Uniti per uno straniero sono spesso un gran bel Film.Il primo che guarda da bambino,l’ultimo prima di arrivare.
Ho iniziato a pittare sui muri che nemmeno avevo finito le scuole medie, e mentre disegnavo sui treni a Napoli, sognavo di poggiare i piedi sui binari della Undergorund Newyorkese.Ai tempi Notorius e Run DMC capeggiavano le mie playlist, e di notte collegavo il mio stereo alle frequenze nato per ascoltare le radio d’oltre oceano.Michael Jordan riscriveva la storia del Basket, il suo mito stava diventando cosi grande che perfino nella città di Diego Maradona crescevano frotte di suoi devoti. Crescevo anche io, e cresceva in me il desiderio di andarci in questi benedetti Stati uniti. Che poi da un capo all’altro del Mondo, a quella eta’, si fa pure presto a farli due sogni.
Ho iniziato a leggere del processo di crescita Geopolitica ed economica degli stati Uniti in un età abbastanza matura, ho avuto la fortuna di inciampare in alcuni libri nel momento in cui avevo la predisposizione e la pazienza adatta a poterli assorbire.Il momento giusto e il posto giusto,potrei dire, peccato che il modello era sbagliato.Alcuni di questi libri hanno contribuito a cambiare radicalmente la percezione (fino a quel tempo entusiasta,anche se astratta) che avevo di questo Paese, ma la cosa che forse oggi più mi condiziona è il racconto inesatto sul quale si fondano gli Stati Uniti agli occhi del Mondo.Ma non è certamente di questo che voglio discutere questo tardo venerdì pomeriggio di fine Ottobre, pensavo piuttosto ad una serie di stimoli e reazioni che questo breve viaggio oltre oceano ha scatenato.Dell’effetto inaspettato che ha avuto su di me e su chi mi conosce e, ad ogni modo, mi sta vicino.
Qualche giorno fa rispondevo ad un amico che, tra una cosa e l’altra, mi chiedeva cosa pensassi di New York City.
Lui non c’era ancora stato e cercava probabilmente di capire in che modo potesse affrontare un viaggio simile, di come si presentasse la città, e se ne valesse effettivamente la pena.Ragionavo più che altro sulla mia risposta,come mai breve e istintiva (cosa rara per me in questo particolare momento storico) ma forse lucida come più spesso mi piacerebbe che fosse.”Di New York City puoi senz’altro saperne più tu che io”.E in effetti era molto probabile che il mio amico potesse in quel momento saperne più di me, visto che nel 70% dei film ,nel 50% delle campagne pubblicitarie, in una grande quantità di romanzi e racconti, che aveva fino a quel momento visto, o letto, c’era New York City.La stessa che io avevo ammirato qualche giorno prima.E visto che si sa tutto su questa città che apparentemente vive senza sosta 24 ore al giorno (ma che forse poi alla fine dei conti, non chiede altro che poter ogni tanto riposare) non è che sono andato tanto fuori tema.E forse come simpatica provocazione avrei potuto addirittura chiedere io a lui com’era passeggiare per Central Park, o mangiare un Hot Dog Sulla 7th (stesso sapore universale), o parlare dei colori della Wonder Wheel a Cooney Island.O esiste tra noi qualcuno che non sa di cosa parlo?
Il punto poi non è neanche sapere spiegare o no certe cose.E’ pur vero che mettere la prima volta la testa fuori Penn Station e ritrovarsi il collo che sale a 180° gradi prima di rivedere il cielo sbucare alla stessa altezza di questi Palazzi giganti,be non lo si puo certamente spiegare, come non si spiega la delusione per un temporale che non ti premette di vedere Rucker Park,leggendario playground ad Harlem Up Town, e se vogliamo nemmeno è possibile spiegare la poca dimestichezza che gli amici Nord Amercani hanno nel trattare il cibo, sprecato in abbondanza e a qualsiasi latitudine.Senza voler dimenticare il pizzico di soddisfazione nel sapere che la stragrande maggioranza dei Newyorkesi parla tanto lo spagnolo quanto l’Inglese, se non solo Spagnolo, come un amico mi faceva notare a South Bronx. Resta l’ordine,la certezza che nel paese esistono delle regole che vanno rispettate, e che tutti hanno questo piccolo particolare ben chiaro in mente. Resta Il Dumbo e la Skyline di Manatthan, con i booken e la poesia del giardino in fiore sul fiume Hudson. Resta la metro multietnica che mette in dubbio la radice storica e culturale della città, e della nazione stessa.Dove se esiste un posto sul Pianeta che può rappresentare al meglio visivamente la specie Umana, questo è senza dubbio New York City. E, se permettete, resta l’emozione di affacciarsi dal quarto anello del Madison Square Garden con i Knicks pronti per la palla due.Senza Michael Jordan ma con i miei giovani sogni che prendono forma.
Resta il poco entusiasmo per un posto che forse già conoscevo,che da ragazzino certamente amavo,e la consapevolezza che nella vita certe sensazioni spariscono per poi (forse) tornare.
Giuseppe Di Vaio
“Dopo vado in piazza , il vigile m’sent sta’ vot’.Se poi mi risponde male vedi che lo paccareo davanti a tutti! quand’ è o mument bisogna pure andare carcerat’.”
Mimi’ è incazzato, sempre incazzato. Un misto tra il “Machete Cortez” del Messicano Denny Trejo e il cattivissimo”Ciuffo Bianco” dei Gremlins, e tra le tante cose a Cetara vende anche i giornali.Nel suo piccolo bazar c’è di tutto, dalle creme abbronzanti al mango ai salvagente a forma di Oca,dai leggendari palloni Super Santos alle freccette per il tiro a segno (con il tiro a segno ovviamente).Pacchi di gratta e vinci e lettini gonfiabili per ogni evenienza.
Un ordinato disordine al pari della più affollata Casbah Nord Africana.
Minuscolo il paese, ci si arriva anche facilmente: il tempo di imboccare da Vietri la statale per la costiera, continuare per cinque kilometri verso Amafli e finire nell’ unica stradina che in picchiata porta alla piazza principale, e da li con due passi direttamente dalla spiaggia al mare.Tutto sistemato con gusto, la strada è stretta ma pulita, alcune transenne separano con criterio la zona trafficata da quella pedonale.Il caffè all’angolo serve tutto il giorno pasticcini caldi e bevande fredde, un po’ più sopra la frutta, per quanto è buona, si vende da sola. Su richiesta,con un minimo investimento, il fruttivendolo taglia ,sciacqua e impacchetta. Appena a sinistra della spiaggia in un “cuoppo” di carta ruvida giallo senape servono alici fritte,gamberi e calamari.E sul pontile con i pescatori di ritorno, la mattina dopo le dieci e con un po di fortuna, si fanno affari veri.
Tranne poi qualche raro caso di improvvisata animazione, o uno dei pochi concerti stagionali e piuttosto stagionati, la tranquillità e un ragionevole silenzio fanno da sfondo alle poche decine di palazzi, che tra i tanti colori dal mare salgono fino a dove le rocce sbarrano definitivamente la strada a mattoni,cemento e ingegno umano.
Per strada di marmocchi ne girano a decine.Sembra d’essere al luna park.Su cento persone sessanta avranno meno di dieci anni.A guardarli bene sembra di tornare indietro nel tempo:due o tre gruppetti di ragazzini per strada, un pallone rattoppato, due porte fatte di stracci, e scalzi fino a sera a tirare e palleggiare.Può sembrare strano, per carità, ma qua i bambini sembrano perfino liberi di giocare.
Lì al Bazar, sempre più incazzato, Mimì continua a borbottare.
Che poi per Amalfi una mattina in pullman ci sono pure (controvoglia) dovuto andare.Sedici kilometri verso Napoli ,in piedi per un bel tratto, un’ ora e mezza andare e quasi due a tornare. Che se non fosse stato per le curve estreme su picchi di roccia alti decine di metri,un insopportabile odore di sapone invisibile ed il mio cattivo umore, sarebbe stata pure una bella passeggiata. Nell’antica cittadina, che una volta fu potenza militare tra le più temute del mediterraneo( quando di mare si conosceva solo quello ), la musica cambia: il tempo si guasta, la gente aumenta, gli spazi diminuiscono.In giro ad ogni angolo negozietti di souvenir cinesi travestiti da ceramiche amalfitane. Un’ anziana ed elegante signora Costierana dall’ aria stanca, resta seduta sulle scale del Duomo.Guardava intorno e, ovunque intorno, turisti bruciati dal sole e sudati alle mani, autoscattavano foto a finti baci di dubbio gusto,aspettando l’insperata idea che li potesse ispirare.
“Ma l’estate non era tempo per riposare?” pensava la signora Costierana , o almeno a me cosi piace immaginare.E dunque Mimi’ proviamo a rilassarci che la vita dalle tue parti non è poi cosi male.
Cetara Agosto 2016
Giuseppe Di Vaio
Di ritorno in questi giorni da un breve viaggio in un piccolo paese in alta Irpinia, riflettevo sull’impatto psicologico che un altrettanto piccolo borgo come il Centro storico di Matera, possa avere sulla complessa visione di un uomo.
Arrivato al calar del sole, per Matera dalla mia città si viaggia anche tre ore, le case sembran tutte abbastanza vecchie, c’è poco movimento dentro e fuori dalle mura. Faccio in tempo a chiedere ad un ragazzo del posto la strada per scendere giù ai Sassi,i famosi e sempre più ricercati.
L’orologio segna 19:45, il cielo inizia a stendere decine di colori e la luce, pian piano, dall’Italia si muove alla sua straordinaria velocità per andar a risvegliare l’altra faccia della terra.
Percorro una serie di vicoletti con molta attenzione, le strade qua sono strette e tutto sembra andar a rilento.
Sui volti degli anziani del posto seduti in silenzio agli angoli delle strade, si legge la storia di una delle civiltà più antiche del nostro Mondo. Non conosco il posto, ci passo per la prima volta, ma a furia di girare, ormai direi, tra le tante stradine si presenta finalmente l’ingresso che cercavo.
Un cartello con indicazioni certe sull’estremità di una rapida discesa.
Il tempo di imboccarla che a pochi metri sulla destra il sipario della natura tira via le tende e mi mostra lo spettacolo di un teatro senza tempo.
I Sassi, Matera e la convivenza,storica e preistorica.
La sensazione distensiva è immediata e probabilmente no un caso, o un sentimento del tutto personale.La roccia bianca che fa da enorme sostegno ad ogni cosa, in tanti punti diventa casa, quasi da sola prende forma e, generosa, lascia alla mente umana l’opportunità e la libertà di creare. In un patto non scritto, che per quello che so dura da sempre.
Chiese, Palazzi, scale, pavimenti,ogni tipo di forma o espressione. Tutto bianco alle luce del sole, tutto giallo a quella artificiale.
Dal terrazzo del mio alloggio, di notte un sottile soffio di vento accarezza la mia penna, là di fronte centinaia di casette scavate nella roccia intersecate tra loro, come in un domino, si arrampicano fino a su quasi a sorreggere la torre della Cattedrale che dall’alto dirige lo sguardo e sorveglia ogni cosa.
Resto senz’altro stupito dall’ordine e dalla bellezza di questo posto, dove la roccia ti esorta a camminare scalzo e ogni cosa sembra essere lì da sempre. Dove ottomila anni di storia non fanno nulla per nascondersi e dove ogni scrittore non avrebbe senza’altro nulla da chiedere.
Giuseppe Di Vaio