“Everything dies baby that’s a fact, but maybe everything that dies someday comes back”
Bruce Springsteen.
In realtà gli Stati Uniti per uno straniero sono spesso un gran bel Film.Il primo che guarda da bambino,l’ultimo prima di arrivare.
Ho iniziato a pittare sui muri che nemmeno avevo finito le scuole medie, e mentre disegnavo sui treni a Napoli, sognavo di poggiare i piedi sui binari della Undergorund Newyorkese.Ai tempi Notorius e Run DMC capeggiavano le mie playlist, e di notte collegavo il mio stereo alle frequenze nato per ascoltare le radio d’oltre oceano.Michael Jordan riscriveva la storia del Basket, il suo mito stava diventando cosi grande che perfino nella città di Diego Maradona crescevano frotte di suoi devoti. Crescevo anche io, e cresceva in me il desiderio di andarci in questi benedetti Stati uniti. Che poi da un capo all’altro del Mondo, a quella eta’, si fa pure presto a farli due sogni.
Ho iniziato a leggere del processo di crescita Geopolitica ed economica degli stati Uniti in un età abbastanza matura, ho avuto la fortuna di inciampare in alcuni libri nel momento in cui avevo la predisposizione e la pazienza adatta a poterli assorbire.Il momento giusto e il posto giusto,potrei dire, peccato che il modello era sbagliato.Alcuni di questi libri hanno contribuito a cambiare radicalmente la percezione (fino a quel tempo entusiasta,anche se astratta) che avevo di questo Paese, ma la cosa che forse oggi più mi condiziona è il racconto inesatto sul quale si fondano gli Stati Uniti agli occhi del Mondo.Ma non è certamente di questo che voglio discutere questo tardo venerdì pomeriggio di fine Ottobre, pensavo piuttosto ad una serie di stimoli e reazioni che questo breve viaggio oltre oceano ha scatenato.Dell’effetto inaspettato che ha avuto su di me e su chi mi conosce e, ad ogni modo, mi sta vicino.
Qualche giorno fa rispondevo ad un amico che, tra una cosa e l’altra, mi chiedeva cosa pensassi di New York City.
Lui non c’era ancora stato e cercava probabilmente di capire in che modo potesse affrontare un viaggio simile, di come si presentasse la città, e se ne valesse effettivamente la pena.Ragionavo più che altro sulla mia risposta,come mai breve e istintiva (cosa rara per me in questo particolare momento storico) ma forse lucida come più spesso mi piacerebbe che fosse.”Di New York City puoi senz’altro saperne più tu che io”.E in effetti era molto probabile che il mio amico potesse in quel momento saperne più di me, visto che nel 70% dei film ,nel 50% delle campagne pubblicitarie, in una grande quantità di romanzi e racconti, che aveva fino a quel momento visto, o letto, c’era New York City.La stessa che io avevo ammirato qualche giorno prima.E visto che si sa tutto su questa città che apparentemente vive senza sosta 24 ore al giorno (ma che forse poi alla fine dei conti, non chiede altro che poter ogni tanto riposare) non è che sono andato tanto fuori tema.E forse come simpatica provocazione avrei potuto addirittura chiedere io a lui com’era passeggiare per Central Park, o mangiare un Hot Dog Sulla 7th (stesso sapore universale), o parlare dei colori della Wonder Wheel a Cooney Island.O esiste tra noi qualcuno che non sa di cosa parlo?
Il punto poi non è neanche sapere spiegare o no certe cose.E’ pur vero che mettere la prima volta la testa fuori Penn Station e ritrovarsi il collo che sale a 180° gradi prima di rivedere il cielo sbucare alla stessa altezza di questi Palazzi giganti,be non lo si puo certamente spiegare, come non si spiega la delusione per un temporale che non ti premette di vedere Rucker Park,leggendario playground ad Harlem Up Town, e se vogliamo nemmeno è possibile spiegare la poca dimestichezza che gli amici Nord Amercani hanno nel trattare il cibo, sprecato in abbondanza e a qualsiasi latitudine.Senza voler dimenticare il pizzico di soddisfazione nel sapere che la stragrande maggioranza dei Newyorkesi parla tanto lo spagnolo quanto l’Inglese, se non solo Spagnolo, come un amico mi faceva notare a South Bronx. Resta l’ordine,la certezza che nel paese esistono delle regole che vanno rispettate, e che tutti hanno questo piccolo particolare ben chiaro in mente. Resta Il Dumbo e la Skyline di Manatthan, con i booken e la poesia del giardino in fiore sul fiume Hudson. Resta la metro multietnica che mette in dubbio la radice storica e culturale della città, e della nazione stessa.Dove se esiste un posto sul Pianeta che può rappresentare al meglio visivamente la specie Umana, questo è senza dubbio New York City. E, se permettete, resta l’emozione di affacciarsi dal quarto anello del Madison Square Garden con i Knicks pronti per la palla due.Senza Michael Jordan ma con i miei giovani sogni che prendono forma.
Resta il poco entusiasmo per un posto che forse già conoscevo,che da ragazzino certamente amavo,e la consapevolezza che nella vita certe sensazioni spariscono per poi (forse) tornare.
Giuseppe Di Vaio