Mammut

8 Maggio 2015 / no comments

Giro spesso in città.

Cerco alternative.

Luca Giaccio è un amico di lungo corso, ci conosciamo dai tempi delle scuole medie. Abbiamo iniziato insieme il percorso artistico, eravamo in tre, pittavamo sui muri. Io ero quello degli schizzetti, lui era il tattico faceva kilometri alla ricerca di muri buoni. Li trovata, Giaccio li trovava.

Ci accomunava la passione per le alternative, venivamo entrambi da un quartiere che offriva poco ed entrambi cercavamo in ogni modo di essere diversi, fuori dalla massa, insomma, soprattutto perché essere massa in un quartiere a Nord di Napoli non è sempre una buona cosa.

Tre settimane fa lo incontro vicino casa mi fermo e ci scambiamo un cinque, è sempre un piacere vedere un vecchio amico. Lui Ha un animo rivoluzionario ed ha sempre avuto le energie per fare la guerra, ma la guerra per la pace; Giaccio è un buono e ama dare una mano.

Tempo fa mi raccontava che dava lezioni di StreetArt, oggi cosi si chiama, ai ragazzini del quartiere. Li portava a Mondragone e li faceva disegnare muri abbandonati al loro destino, dava colore al degrado e trasmetteva conoscenze, le sue.

Mi parla della storica e attuale missione, Il Mammut.

Il Mammut è un centro territoriale che si occupa di rivalutare, attraverso ogni genere di attività ludica e artistica, esseri umani. Bambini, adolescenti e giovani adulti ci passano e, se vogliono, imparano a fare qualcosa.

Mi parla di un progetto a cui contribuisce da tempo, la CiclOfficina.

A grandi linee mi spiega che si tratta di un laboratorio che coinvolge e attiva vari ragazzini attraverso la riparazione di bici, proprie e di altri. M’invita ad andarci, non me lo faccio ripetere.

Una settimana dopo, alle 16:00 in punto mi ritrovo a Piazza Giovanni Paolo II, Scampia. Sotto un enorme ammasso di cemento armato a forma rettangolare sorretto da una ventina di colonne alte almeno 10 metri.

Per ogni una di queste colonne un disegno e in fondo ad esse una porta con una discesina.

Fuori la porta, una decina di bambini con 5 biciclette aspettano che Chiara finisca di lavare il pavimento per entrare. Mammut.

Giaccio ancora non c’è. Chiara, la responsabile, è subito molto accogliente; mi vede da lontano “Benvenuto!” e m’invita ad entrare, la conosco pochissimo ma dall’esterno so cosa fa e di cosa si occupa. E’ un educatrice, e da li’ a poco capirò il perché.

Arrivo sul ciglio della porta lei esce ci abbracciamo e mi presenta ai bambini, fra loro c’è Domenico “ Lui è forte con la macchina fotografica, una volta ha fotografato il Carnevale, è stato bravissimo.” mi dice Chiara. Domenico non è proprio un ragazzino, avrà 16 anni, due enormi occhi azzurri e mi sembra proprio felice. Felice di stare dov’è.

Ancora pochi minuti il pavimento s’asciuga ed io insieme ai bambini, che nel frattempo sono raddoppiati, entriamo, loro rispettosi mi lasciano passare avanti.

La sala è spaziosa, tenuta molto bene “sistimat” si dice da queste parti. Al centro un grande tavolo da lavoro in legno massiccio, sulla destra un enorme scaffale che prende tutta la parete fino alla porta, dove sono poggiati a scomparto tanti pezzi di ricambio per le bici, vernice di ogni tipo, vite, chiodi e ogni genere di strumento. Alle spalle del tavolo una postazione in legno blu con gli attrezzi; martelli, Chiavi, tenaglie, pinze, e cacciavite di varie dimensioni. Sulla parete sinistra invece una lavagna dove Chiara, una volta iniziato il lavoro, appende i bigliettini con i nomi dei bambini e il loro compito giornaliero. Il compito lo scelgono i bambini ovviamente, Chiara non impone nulla a nessuno, ne nei fatti ne nei modi. E’ una donna estremamente paziente e comprensiva e, pensavo, visti i tanti ragazzi, ne avrebbe avuto bisogno.

Chiede ai ragazzi di sedersi a cerchio intorno al tavolo e dice a tutti che questa è una giornata speciale per la ciclOfficina, l’ultima. Ci sarà una pausa. Chiede ad ognuno di dire la sua e poi organizza la giornata. Inizia il lavoro; ogni uno con il suo compito, chi non ne ha subito aiuta l’altro mentre aspetta il suo turno, una straordinaria rappresentazione di comunità laboriosa. Straordinaria e con pochi intoppi. Mi spiego: provate a prendere dieci bambini in qualsiasi parte del Mondo metteteli tutti insieme in una stanza con cinque bici smontate e centinaia di attrezzi da utilizzare. Provate a stare con loro per un ora, uscite e poi rientrate. Il risultato potete immaginarlo da soli. Caos.

In questo caso quello che subito mi balza agli occhi è la disciplina; di solito ci insegnano a fare cose e stare in silenzio, ma non sempre riusciamo a farlo. Quà tutti parlano e tutti fanno qualcosa, ma cosa importante tutti riescono.

Fra i vari ruoli c’né uno molto ambito; il fotografo. E’ fisso ogni volta si scattano delle foto da archiviare, oggi tocca ad Ernesto. Il grande.

Sette anni, vispo, asciutto, pochi denti ed una velocita spaziale, passa in pochi secondi da un estremo all’altro del tavolo, fotografa chiunque, purchè non in posa, “non si può è vietato” dice, poi viene da me si siede al mio fianco e mi chiede “com’è”? ed io “ è bell’ , vai Ernè”!.

Nel frattempo arriva Giaccio, vestito leggero come suo solito, e porta con se un po’ di merende e il latte per i ragazzi, entra saluta tutti e si mette a lavoro. Anche lui, ovviamente. Anche lui con estrema pazienza spiega a chiunque ne abbia bisogno cosa e come fare, poi prende una bici la capovolge smonta una ruota, controlla i freni, lavora con l’acqua per le bucature, spiega ad Ernesto perché non andava ed insieme a lui esce a provarla. In questo caso Ernesto cambia ruolo, diventa testa bici, si siede su una sella più alta di lui fa un giro per lo spiazzale poi accelera tira il freno di botto e sgomma “va bon” !, è fantastico.

Non ho pensato , nemmeno per un attimo, a quello che possono essere i ragazzi quando escono da questo posto, oggi non m’interessa. Mi è bastato però vedere cosa sono in questo posto, e una cosa la penso: Sono Meravigliosi. Un gruppo che lavora per un unico obbiettivo, il soddisfacimento delle esigenze comuni attraverso la complessa e laboriosa restaurazione di pezzi ferro. Senza se e senza ma.

Chiara e Giaccio educano e non hanno bisogno di troppa pazienza, loro hanno capito il verso.

I bambini vanno indirizzati non accompagnati, le alternative basta mostragliele e poi lasciarli liberi di scegliere.

Esistono poi posti dove le cose funzionano, e in genere là dove riusciamo a capire che l’Io senza Noi non esiste le cose funzionano ancora meglio.

A Giaccio, a Chiara e ai loro ragazzi, Giuseppe Divaio.

Happy Scampia

6 Maggio 2015 / no comments

“Che fate?”

Passata la mezzanotte, di fronte le Vele. Enormi astronavi in cemento armato.

Di notte Scampia è illuminata bene, c’è un palo ogni cinque metri e luce che sembra giorno, l’unica differenza la trovi nei rumori. Di notte questo è un posto silenzioso, assai sereno, dove se vuoi riposi.

La vela di fronte è la prima dalla strada che da Secondigliano porta in collina. Qua il discorso è differente: l’edificio versa in condizioni di abbandono totale, nonostante alcuni suoi piani siano ancora abitati, e dall’esterno è quasi completamente al buio, cosa anomala vista l’enorme quantità di energia elettrica che si concerta in tutto il quartiere. Altra anomalia è il fatto che tutto intorno ci sono decine di parchi tenuti bene dove in alcuni casi per accedervi si passa anche da una efficiente portineria con tanto di addetto alla sicurezza. Ma del resto funziona cosi in ogni famiglia che si rispetti, dove qualche figlio trasandato tra tanti figli tirati a lucido lo trovi, sempre. Le Vele.

Io, Dario e Ugo avevamo bisogno di un immagine manifesto per l’inizio del video che stavamo preparando, il primo lavoro che facevamo insieme. I ragazzi proposero di fare una Timelapse notturna delle astronavi di cemento idea che condividemmo subito e che programmammo al termine dell’ultima giornata di riprese. Mancava una settimana alla Pasqua Cristiana, e quel giorno dopo le riprese del pomeriggio ci demmo appuntamento alle 22:00. Per realizzare quel filmato avevamo bisogno di un cavalletto per stabilizzare l’immagine e del carrello per muove la videocamera in modo fluido. Caricammo ciò che serviva in macchina, Ugo guidava, ed alle 23:00 eravamo sul posto. Il tempo di scaricare le cose che Ugo e Dario avevano già montato la postazione, scelta la fotografia giusta iniziammo a riprendere. Le vele nella loro più totale decadenza apparivano maestose, e giù in strada ogni macchina che passava lasciava una scia di colore che ai mei occhi profumava.

A qualche decina di metri dalla nostra postazione una ventina di ragazzi che giocava a calcio nella grande piazza dedicata al Papa fecero presto a notarci, e senza perdere troppo tempo, dopo aver mandato qualcuno in avanscoperta si avvicinano, tre giovani in particolare.

In effetti poteva non essere stata una buona idea uscire di notte con tutta la nostra attrezzatura e metterci in bella mostra in uno dei quartieri che il Mondo conosce quasi esclusivamente per le cronache criminali. Certo un po’ di ansia avrei anche potuta averla, sarebbe stata legittima.

“Che fate?” chiese uno dei tre con aria seria e impegnata. “Giriamo un video su Scampia” gli rispondo.

Al che un po’ s’insospettirono, era appena iniziata una serie tv che buttava fango per l’ennesima volta su tutto il quartiere senza distinzione alcuna. Iniziai cosi a parlargli di Happy Scampia e dei giorni trascorsi per il loro quartiere a filmarne centinaia di persone che entusiaste avevano contribuito, e della nostra voglia di mostrare il volto reale del quartiere attraverso la sua normalità, quella che io stesso ritrovavo nei sorrisi della gente. Il mercato, le scuole, le associazioni, le palestre, i pompieri, i vigli urbani, la polizia, gli artisti, i bambini, gli adulti, Scampia tutta insomma. Forse mancavano solo loro.

“Possiamo dare una mano?!”.

Certo gli risposi “siete benvenuti” ed uno di loro con uno smisurato scatto di orgoglio mi disse “ Siamo stanchi di passare sempre per i cattivi, non lo siamo mi devi credere”. Quest’ultima parte per me è la più logica: io li conosco. Sono figlio di un quartiere attaccato al loro con gli stessi problemi e le stesse positività, ed io stesso sono loro e sono stanco.

Ci aiutarono a portare a spalla le cose che avevamo con noi e vollero a tutti i costi partecipare al video. Passammo circa un ora insieme a loro ed io ,per quel breve tempo, ritornai un po’ bambino quando facevo le stesse identiche cose. Stesse risate, stesse nottate e soprattutto stessa meravigliosa spensieratezza.

Qualche giorno fa un anno dopo l’uscita del video (che ha avuto uno straordinario successo mediatico e che dopo aver trovato spazio su tutti i più importanti siti, giornali e tv Nazionali, a brave sarà ripreso anche da Rai International e trasmesso in tutto il Mondo ) mentre di fretta mi apprestavo a raggiungere la metro si avvicinano tre ragazzi, mi riconoscono, “Tu sei quello di Happy Scampia, ti ricordi di noi?” erano entusiasti.

Ho dovuto fare molta fatica a fargli credere che io Dario e Ugo avevamo pochi meriti, e che non avevamo fatto altro che riprendere quello che fanno più spesso, essere felici anche con decine di problemi. E che io stesso sono estremamente grato a tutta la loro comunità che forse per la prima ed unica volta si è insieme aperta con l’intento di mostrarsi cosi com’è, normale.

A Scampia e alla sua gente.

Giuseppe Divaio

“Because Scampia is a happy place”

Diretto e Girato da:

Giuseppe Divaio

Dario De simone

Ugo De Matteo

Riscoperta pubblica

20 Gennaio 2015 / no comments

Alfredo è un ragazzone alto un metro settanta e passa, lo conosco da quando era un bambino. Era veramente tremendo ed era capace di litigare con chiunque, un mosca bianca. Non ho mai capito che lavoro fa di preciso, sta nel Mondo delle ristrutturazioni e nel suo lavoro, mi dicono, non c’è qualcosa che sappia fare in particolare che lo caratterizza, Alfredo a quanto pare riesce a fare tutto o quasi.

Dopo il matrimonio si è trasferito a Frullone con la famiglia, Giuliana la moglie e il nuovo arrivato Lorenzo. Da celibe viveva a Miano poco più giù, nel cuore di un quartiere noto prevalentemente a molti per la cronaca nera.Ogni tanto ci piace fare due chiacchiere e da sempre mi ha mostrato un interesse per il sociale ed una predisposizione ad occuparsi di problemi anche non suoi.

Poco tempo fa in una delle nostre solite chiacchierate mi aveva parlato di un parchetto al Frullone, nei pressi della fermata della metro, che destava in condizioni pietose, fatiscente e abbandonato a se stesso. Spesso meta di tossici che lo usavano come base operativa per i loro viaggi mentali. Nel frattempo aveva iniziato, parlando con i commercianti del posto e spinto dalle loro lamentele, a darsi da fare e ad occuparsi della situazione. Il suo era più che altro un desiderio; desiderava restituire alla comunità qualcosa che ingiustamente, e come spesso accade, le era stato sottratto.

Inizia cosi a parlarne in giro, cosi come fece con me, e trova in Nadia e Giovanni due persone interessate e con il suo stesso scopo. Iniziano cosi, dopo aver studiato la situazione, a fare una colletta fra i commercianti ed ogni uno, a modo proprio, collabora. In realtà i commercianti del posto avevano tentato più volte di fare qualcosa per quel Parchetto, anche coinvolgendo il comitato di quartiere, ma non c’erano mai riusciti.

I ragazzi facendo un po’ di passa parola nel frattempo riescono a coinvolgere anche qualche associazione e qualche gruppo di tifosi, oltre a semplici cittadini mossi dalla passione di fare qualcosa per la comunità. Organizzano un piano di lavori e fissano una data.

L’appuntamento è per sabato 10 gennaio 2015 alle 10 del Mattino.

Ci sono anche io ovviamente, anche se il mio contributo si limiterà a scattare foto e fare qualche domanda.

Quella mattina aveva piovuto e poi smesso ma nell’aria era rimasta umidità, cosa abbastanza insolita per la città, quest’anno l’inverno ha fatto pochi sconti. Quando arrivo trovo una situazione che forse non mi aspettavo: C’erano circa 30 persone o forse qualcuno in più, mazze, pale, pezze, barattoli di vernice e tanta, ma tanta forza di volontà. Il parco era veramente in pessime condizioni, alcuni punti erano diventati grandi pattumiere a celo aperto dove qualche incosciente buttava i rifiuti, c’erano cumuli di foglie ovunque, alcuni altri un metro e tutto era fermo. Fermo e abbandonato.

La gente che in tanto passava da fuori guardava questi giovani, qualcuno a mezze maniche, che con un freddo pressante si davano molto da fare per ripulire quel posto senza chiedere nulla in cambio a nessuno.

Faccio il mio giro, due chiacchiere con Nadia che ci tiene a precisarmi che “ lo scopo non è sostituirci al comune, ma semplicemente dare un segnale ai cittadini. Se ogni uno di noi fa qualcosa per la nostra città non possiamo che migliorala. Cominciamo col ridare vita ai luoghi pubblici abbandonati.” , e con Giovanni che invece mi fa notare che rivitalizzare questi luoghi e magari portare eventi o dare semplicemente la possibilità ad un cittadino di sedersi e leggere un libro, in pace, sarebbe un passo verso la smilitarizzazione di quartieri del genere. E la solidarietà, Giovanni la mette davanti a tutto ed io non posso che essere d’accordo con lui.

Finisco le mie domande, faccio gli ultimi scatti saluto qualche amico, abbraccio Alfredo e torno al mio studio.

Ripasso qualche giorno dopo e trovo un posto nuovo, pulito e in movimento.

Questi ragazzi mi hanno fatto molto riflettere; Alfredo lavora tutta la settimana e quel sabato mattina sarebbe potuto restare al caldo a giocare a letto con Lorenzino e con Giuliana, se lo meritava. Ma Alfredo ha pensato che sarebbe stato più importante fare qualcosa per restituire un posto dove correre e giocare nelle mattine di Primavera a suo figlio, e a tutti i figli della sua città.

Aung San Suu Kiy, premio Nobel per la pace, dice “L’autentica rivoluzione è quella dello spirito.”.Lo spirito di Alfredo.

Le mani di Pasquale

8 Gennaio 2015 / no comments

“Pasquà non correre.

Mi viene di raccomandarmi, quelle poche le volte che, dopo essere passato per un saluto, va via dal mio studio e mi tende una mano enorme che nemmeno piega, la stessa che usa per allacciarsi il casco con una delicatezza unica; la sua.

Mi viene di preoccuparmi, ma probabilmente sbaglio. Si sbaglio.

A Settembre scorso ero a Marianella, quartiere a Nord di Napoli famoso per aver dato i Natali ad uno dei Santi piu’ importanti per la Chiesa cattolica, Sant’Alfonso dei Liguori. Dovevo tornare a casa era un po’ tardi e come mio solito ero a piedi; Pasquale, che conoscevo appena, si offri di darmi un passaggio. Io amo camminare a piedi ma il fatto che lui mi avesse offerto una mano mi fece piacere, montai sullo scooter e il conducente, il comandante in quel caso, era lui. Silenzioso come suo solito e per strada attento, sicuro di se, poco smanioso e in tre minuti mi porta a destinazione.

Aveva qualcosa di speciale quel ragazzo, che andava oltre ben oltre una composta apparenza.

A Marzo dell’anno scorso la mia strada incrocia quella di Dario e Ugo;

Dario e Ugo sono due giovani del posto con un enorme passione per la fotografia e una straordinaria umanità, si conoscono da prima della luce ed han passato gran parte della vita insieme.

In quel periodo avevo bisogno di una mano per un progetto Cinematografico e vedendo alcuni loro lavori che mi piacevano provai a coinvolgerli, la risposta fu subito positiva, cosi come le energie che ci avevano fatto incontrare.

Con loro, ogni tanto, c’era un amico, Pasquale.

Paco –cosi lo chiama avvolte Ugo è un ragazzo di ventinove anni, alto quasi un metro e ottanta, moro, snello e con una straordinaria capacità di piegare arti e muscoli, da seduto riesce ad accavallare le gambe e toccare il pavimento con entrambe. Una volta lo vidi restare un ora in ginocchio ad ascoltare nostri discorsi – Dario dice che non è niente, ci resta anche due ore sulle ginocchia se vuole -. M’impressiono.

Ha un ottima capacità intellettiva, a tratti filosofeggia, ed una meravigliosa sensibilità. Convive da sempre con delle malformazioni che ne limitano i movimenti.

Da bambino è amico dei ragazzi.

Mi capitava spesso, tempo a dietro, di vederlo gironzolare per il quartiere, in realtà con il suo motorino di quartieri ne attraversa un po’ ed in ogni uno di questi ha la sua schiera di amici. Pochi ma buoni.

Da sempre schivo , suscitava in me curiosità.

A Natale ogni anno, e per anni, lo ritrovavo fino alle venti in Piazza a Marianella, davanti alla Chiesa, dietro ad una bancarella che tutte le volte allestiva con due tavolini, un ombrellone da spiaggia a spicchi giallo e blu ed uno schema di fili elettrici che dal palazzo vicino gli portavano corrente in strada. Vendeva presepi.

I suoi presepi.

Tutte le mattine si sveglia alle sette e va a lavoro a Mugnano, con il suo scooter ovviamente, arriva al Bar di famiglia su uno dei Corsi principali di Mugnano, Paese in Provincia di Napoli, e ci resta fino a sera. Ultimamente dice che si stanca perché ormai ha imparato a fare tutto e quindi per certi versi tutti si affidano a lui. Dopo il lavoro, in genere di sera, per tre volte a settimana va in Piscina a nuotare e poi, quando finisce, torna a casa per cena. Pasquale Mangia, ma assai.

Lo spirito laborioso dice di averlo ereditato dal Padre che, mi dicono, aveva avuto, oltre a quello attuale, altri Bar e li aveva sempre gestiti molto bene, a tal punto da dare alla famiglia una vita sempre degna. Un uomo in gamba insomma.

Pasquale questo lo sa e sa pure che il suo amore per i presepi deriva dallo stesso esempio, suo Padre.

Circa dieci anni fa durante il periodo Natalizio lo vedeva preparare il Presepe per casa sua, dice che ne rimase affascinato. L’allestimento della base con il legno, l’aggiunta del sughero, le erbe, i sassolini, le grotte, le luci e in fine i Pastori. I Pastori.

Ogni uomo cresciuto con un educazione cattolica a Napoli ha avuto nella vita un pastore preferito, i miei erano i Puffi. Amavo mettere i Puffi sul mio presepe e la vita mi ha poi detto perché, ma questa è un’altra storia.

Il ragazzo affascinato dalla cura e dalla dedizione che il Padre aveva per quello che faceva decise di iniziare un nuovo percorso, divenne in poco tempo un artigiano, anche se in realtà lo era sempre stato, mi dicono che sin da bambino si ingegnava per aggiustare qualsiasi cosa si rompesse, costruiva presepi. Con tanta volontà e con l’aiuto della famiglia che lo segue è riuscito, nel tempo, a creare nello scantinato di casa sua, in uno degli Isolati popolari del quartiere, un Laboratorio. Un posto a misura d’uomo. Vi si accede scendendo una rampa di scale e quando mi ci porta Pasquale ha con se una lampadina:

Appena giù c’è un corridoio in comune con vari box, molto pulito, Paco ha ritinteggiato da poco di vernice bianca una parete che era stata imbrattata da qualche ragazzino innamorato, lui ama tenere tutto in ordine. Qualche passo e sulla sinistra e si riscende, 8 gradini al buio, lui tira fuori dalla tasca del giubbotto la lampadina l’attacca ad un cavo elettrico ideato e messo in sicurezza, manco a dirlo, da lui stesso, apre il catenaccio e “ Prego Peppe entra”. Sulla sinistra il suo banco di lavoro, e a fila in tutta la stanza presepi da finire. Sulla destra una parete con delle mensole  dove appoggia piccoli Barattoli di vernice colorata e i vari ferri del mestiere in modo ordinato, quasi militare. Un po’ più avanti uno stereo a cassette anni 90 che usa per ascoltare musica ed appoggiati ad un’altra parete, uno sull’altro, tanti pezzi di legno già tagliati che in linea di massima non superano i trenta centimetri di lunghezza.

Costruisce presepi Pasquale, e mi chiede di sedermi “ti mostro come si fa” lo accontento ovviamente;

Con le sue lunghe braccia pende uno dei prototipi che ha parcheggiato sulla destra e lo mette sul banco, è ancora una carcassa, tira fuori poi una pistola per lavorare il silicone ed inizia ad incollare i pezzi di sughero. Dove i pezzi non combaciano si serve di un Flex per tagliarli, mi dice che è stata un ottima scelta comprare quel Modello “ un buon investimento, ho fatto bene Pè.”.

Tira fuori un trapano per fare non so cosa anche se qualcosa poi fa e ad un certo punto si ricorda della musica e accende la radio, poi dice “Peppe vedi io l’anno prossimo voglio mettere un’altra volta la bancarella, un ragazzo lo trovo che sta al posto mio, io ora ho il Bar non ho tempo. Ma lo pago a settimana non m’interessa.”. Usa parole classiche del vocabolario di un uomo d’affari – investire, assumere, vendere etc – con estrema naturalezza. Forte Pasquale.

Si fa tardi per me e devo andare, piove a dirotto sento l’acqua che sbatte sulle inferriate a tre metri di profondità, lo saluto lui mi porge l’ enorme mano e mi dice tenendo la mia “Devo far conoscere alla gente quello che faccio Pè. I miei presepi.”

Per lo scorso Natale Pasquale ha deciso di non uscire con suoi lavori per strada, niente bancarella e corrente dal palazzo. Da Settembre suo’ Papà non c’è più. Non se l’è sentita, lo capisco, lo rispetto. Capita di sentirsi smarriti quando perdiamo i nostri fari, si cammina nel buio, per un po’.

Ma poi la luce torna, lascia la mia mano e l’anno prossimo “Pur due, tre presepi l’aggià luà. Lo faccio per lui Pè, per papà.”     

Io in un Tempo di giovani e fragili generazioni, di muri di gomma e pance di ansia i Presepi di Pasquale li porterei a spalla per farli ammirare ovunque e a chiunque, ma per le mie spalle mi piacerebbe poter avere la sua forza.

Per ogni spalla la sua forza.

G.